Debiti e abbracci

Ci siamo incontrate per strada, come accade quasi ogni giorno da un paio d'anni: io e il mio cane, lei e il suo. Sempre un sorriso, due chiacchiere sulla "community" di amici a quattro zampe, e via.
Oggi aveva l'aria imbarazzata. E l'espressione di chi vorrebbe dire ma non riesce a trovare le parole. Le chiedo se vuole bere un caffè insieme e mi risponde che "sì, ne ha proprio bisogno".
Ci sediamo sotto il gazebo del baretto di periferia: i cani stesi al riparo del tavolino, a dividersi lo stesso cono d'ombra; noi impegnate a prender tempo, separate da quel corposo imbarazzo tipico del "momento prima".
Le sue lacrime sciolgono il nostro torpore e gli danno calore, gli imprimono una direzione. Alla fine, lasciano anche spazio alle parole.
Penso subito che la sua storia sia quella che Bankitalia definirebbe di "sovraindebitamento": sorrido senza volerlo all'incasellamento delle vita degli altri entro categorie così ordinate e apparentemente innocue. E continuo ad ascoltare, chiedendomi quando sarebbe arrivato il momento della domanda esplicita.
Il marito in mobilità, lei con un misero part time, troppe spese e rate da pagare ("scelte di consumo avventate", penso ancora a Bankitalia).
Mi sta dicendo che è disperata: d'altra parte, posso vederlo con i miei occhi, e sentirlo, e provare un po' di quella stessa angoscia. E disperata deve esserlo davvero se ha avvicinato me che conosce a malapena: spera in un aiuto, anche piccolo.
Il punto è che lei e il marito avrebbero dovuto restituire molti soldi a un "parente" che tempo prima glieli aveva prestati: a quanto pare il "tempo era scaduto" e questa persona da gentile stava diventando minacciosa.
La interrompo: provo a spiegarle che a parer mio si sono messi nelle mani di un usuraio, che avrebbero dovuto sporgere denuncia, che la soluzione non era quella di continuare a indebitarsi, e che io, infine, non ho una lira.
Glielo dico, così, tutto d'un fiato, perché temo che a pezzetti, prendendo piccole pause per respirare, non arriverei fino in fondo.
Ma l'avrei aiutata, le prometto: a capire da che parte ricominciare, a fare un po' di chiarezza, a chiedere aiuto. Che può contare su di me: non per i soldi, purtroppo, che anch'io non dormo sonni tranquilli!
Mi sorride e poi riprende a piangere. Le offro subito un fazzoletto: senza dire nulla. Provo insofferenza per la mia incapacità di partecipare fisicamente al dolore degi altri. La stessa che tutte le volte riservavo al mio "strizza". Quando - mentre piangevo sul lettino - mi porgeva montagne di fazzoletti in religioso silenzio. Mentre io non smettevo di sperare in un abbraccio.

Commenti

  1. Una fotografia nitida dell'Italia, emersa in questi ultimi lunghi mesi agonizzanti. L'indebitamento italiano che avanza a mio avviso, non è solo monetario, ma anche e soprattutto culturale.
    E l'impatto con la realtà diventa gelido e alienante...
    Si contrappone per fortuna a quel calore tipico degli italiani ancora capaci di onestà, gentilezza e accoglienza. Anche se soldi non ce ne sono....

    RispondiElimina
  2. Vero. L'indebitamento culturale è la vera tragedia: ma differenza dell'altra, quella che ha a che fare con la crisi economica e con i soldi che mancano, per questo non esistono ricette 'pubbliche' e condivise. Forse solo un salvifico effetto 'contagio'.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

"Il desiderio di essere come tutti"

Nipoti

Balo come King Kong e le scuse ridicole