Cosa ho visto al concerto di Stromae
Ero al concertodi Stromae, ieri sera, senza conoscere una parola di francese ma incantata
da questo ragazzo snodabile e soave, uomo e donna, che recita
le proprie canzoni oltre a cantarle. Insomma, ero nella
bolgia fumosa e sudata del Palalottomatica, quando - alle ultime canzoni -
abbiamo deciso di alzarci dal nostro posto e avvicinarci all'uscita. Mi sono
goduta la fine del concerto, in piedi, un po' ballando, un po' guardandomi
attorno, curiosa degli altri "Stromae amateurs".
C'è una famiglia: lui, lei, un bambino di 12 anni al massimo. A un certo punto, l'uomo si alza dal proprio
posto, chiama moglie e figlio, e inizia a riprenderli con il cellulare: loro
salutano e mandano baci con la mano. Me li guardo: tutti sorridenti e felici,
farsi un mucchio di selfie e quel bambino pallido e biondo, con le occhiaie, mi
colpisce perché sembra già adulto. Pensoso e fragile.
Mentre l'uomo continua
a riprendere il concerto, non si accorge che sua moglie inizia a piangere. Il
bambino la guarda, inizia ad agitarsi, la abbraccia, le chiede "perché mamma? perché? cosa
succede?" ma lei appare inconsolabile. Continua a piangere, ad asciugarsi
le lacrime, senza mai distogliere lo sguardo dal palco.
Il piccolo ogni tanto
si gira verso il concerto, inizia a irrigidirsi, la tiene sempre sott'occhio: è
preoccupato, non riesce a rilassarsi, entra quasi in panico perché sua madre
piange, lì, accanto a lui. E non riesce a smettere. Passano alcuni minuti
lunghissimi. Il padre, pochi posti più in là, è concentrato sul video, il
bambino non sa cosa fare, continua a passare il braccio intorno al collo della
madre, continua a interrogarla, cerca di intercettare invano lo sguardo del
padre per chiedere aiuto.
La signora cerca di asciugarsi gli occhi, poi sembra
sforzarsi di trovare pace per poi singhiozzare ancora. E' completamente senza
freno. Finalmente il bimbo riesce a richiamare l'attenzione dell'uomo:
"Papà, papà". Lui si volta con lo sguardo che interroga: "Che
succede?". Il piccolo indica la madre con uno sguardo fortissimo: un misto di mortificazione, allarme, colpa.
Lui si avvicina subito,
sedendo vicino a suo figlio, col volto teso, quasi contrariato, come se
sapesse la ragione di quel pianto irrefrenabile. Non dice nulla. Resta accanto
a suo figlio e tutti e tre tornano al concerto ma sono altrove.
La donna finalmente riesce a
ricacciare tutta quella sovrabbondanza di dolore. Ma è immobile. Tutta dentro di sé.
Prima di andare, mi
sposto appena un po', per osservarli di profilo: mi basterebbe scorgere un sorriso che calmi quel bambino, facendolo tornare bambino.
Mi basterebbe credere che non ci sia dolore in grado di violare il diritto di un bambino a essere protetto.
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