Da domani


Da domani, fuori dalla clinica dove mamma ha subito l'intervento, non potrò più dimenticare che:

  1. si affronta tutto, ma proprio tutto quello che ci tiene in vita. In verità, si affronta anche quello che ci ferma, in un modo o nell'altro, ma la vita che riprende dopo un pausa, un dolore, un rallentamento, esce fuori con un'idea in più, un coraggio diverso, e un nuovo modo di "stare al mondo";
  2. ho passato troppo tempo mettendomi al riparo da malattie (degli altri), ospedali e medici, quando sarebbe bastato accettarne l'esistenza e, visto che il dolore fisico è tremendamente democratico, provare a conoscerli, a parlarci, a non scappare. Come se bastasse un "tu non mi prendi" per evitare di ammalarsi;
  3. restare nel mondo, nel senso letterale, senza evitare lo sguardo di chi sta male e ci interpella senza falsi pudori, senza rinunciare a entrare nella vita degli altri per paura che il dolore entri nella nostra;
  4. avere paura di ammalarsi, di perdere chi amiamo lentamente, avere paura di stare male e manifestare a tutti il proprio malessere, farsi paralizzare da quella paura senza muovere un dito per combatterla, ha una sola ricetta tanto salvifica quanto impegnativa: l'autoironia, il coraggio di ridere di sé, dei propri ingorghi, e provare a togliere qualche tappo difensivo di troppo che ci chiude alla vita, alla sofferenza anche, ma quella c'è perché non siamo ancora finiti, appunto;
  5. essere gentili, anche quando proprio ne faremmo a meno, è un regalo pazzesco che facciamo soprattutto a noi.


Ho incontrato infermiere, operatori, medici, albergatori - in questi giorni - che mi sorridevano senza una ragione, forse perché coglievano una richiesta di aiuto silenziosa, forse per un self-marketing molto particolare, probabilmente perché stare tra le persone che soffrono, qualcosa te la insegna, alla fine: la fratellanza laicissima che esiste tra le persone. Ecco, forse impegnarsi sempre nel rimarcare i confini tra sé e gli altri, tra salute e malattia, tra noi e loro,  tra chi sta bene e chi sta male, è un'illusione che solo uno spazio virtuale è capace di coltivare. Perché ti esonera dai veri sorrisi, dalle parole che formulano una diagnosi di vita o di morte, dal servizio che si presta e dalla cura che si offre. Non potrò dimenticare tutto questo: viverlo è stata la cosa più sana che potessi fare in questo momento.

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