Piero, il giardiniere


Piero, giardiniere (segue telefono).
Il biglietto da visita è a caratteri cubitali e finalmente scopro cosa fa nella vita quell’omone gentile che, ogni giorno, incontro durante la passeggiata mattutina con il mio cane.
Non manca mai di fare un cenno di saluto, così, perché in un quartiere come quello in cui vivo, alla fine, si incontrano sempre le stesse persone: facce che ogni giorno finiscono con l’esserti un pochino familiari, facce preoccupate, pensose, facce felici, annoiate, corrucciate. Me le studio tutte, per via di un esercizio automatico che faccio fin da bambina, quando mi raccontavo storie tra me e me, senza principi e principesse, ma popolate da gente come me, normale e sconosciuta.
Quanto a Piero, la sua faccia mi ha subito ispirato simpatia: ogni tanto, entro in un bar che è in piazzetta, e Piero è lì, con la tazzina ormai vuota del caffé bevuto chissà quante ore prima. Solo.
Ha una pancia esagerata ed è vestito con abiti logori ma perfettamente in ordine. Piero è sempre sorridente: un sorriso che nasconde un pensiero (perché, lo sappiamo bene, ci sono anche sorrisi un po’ ebeti).

E allora ho iniziato a fantasticare sulla sua vita, su cosa potesse essergli successo, su come passasse il suo tempo, come si fosse impoverito. Ogni giorno, una carezza al cane e un saluto a me. Fino alla scorsa settimana.
Lo vedo camminare proprio per la mia strada e infilarsi in una specie di sottoscala che fino ad allora ospitava vecchie bici da rottamare: “Dunque, siamo diventati vicini di casa”, mi dico. Passo per la passeggiata serale proprio vicino “casa” sua: le biciclette, ammassate alla meno peggio, sono sempre lì, è tutto un po’ in disordine, da ripulire, con calcinacci per terra ed erbacce ovunque. Proprio in quel momento, mentre ancora sono intenta a spiare nel piccolo ingresso esterno, spunta la pancia di Piero da una porticina, ma invece di salutarmi, abbassa gli occhi e rientra.
Mi maledico e scappo, mentre vorrei solo scusarmi con lui: per aver offeso il suo pudore.
Ieri, mentre bevo il mio caffé, Piero si presenta e mi cede il proprio biglietto da visita: sollevata, gli dico subito che ho proprio bisogno di alcuni consigli per la mia piccola aiuola: “Niente di che, davvero, ma magari lei mi può aiutare a sconfiggere i ragnetti rossi!”.
Ride. Parla un perfetto italiano e mi racconta la propria storia, alcuni pezzi, per pochi minuti. Insiste nell’offrirmi il caffé. Lo ringrazio, accettando. So che ne ha bisogno.
Piero era un giardiniere richiestissimo e molto bravo. Qualcosa a un certo punto è andato storto e lui lo spiega così: “Potrei dare la colpa alla crisi, e non avrei torto”, racconta, “e invece credo che in fondo la vita mi abbia restituito gli schiaffi che io le ho dato: forse mi merito di essere finito a vivere in un sottoscala, solo, senza lavoro”.
È stato come ricevere un pugno nello stomaco.
Essere così inclementi parlando a un’estranea è più di un’auto-analisi. E richiede qualcosa di diverso dalla pur preziosa lucidità: è l’impossibilità a concedersi quel perdono che ci potrebbe salvare.
Piero non riesce a perdonarsi: di essere caduto in una dipendenza a lui fatale, di aver sfasciato la propria famiglia che non lo vuole più vedere, di aver rovinato la propria vita. “Non posso perdonarmi”, mi dice con voce piana, senza apparente rabbia, come un dato di fatto oggettivo e insuperabile.
Trovo la forza anch’io – perché, sapete, la virtù di chi ci sta vicino è sempre contagiosa – di raccontarmi: gli dico di aver fatto anch’io un sacco di errori, alcuni irrimediabili, a cui penso ogni giorno, in ogni momento della mia giornata. E poi concludo, prima di salutarlo: “Anch’io, a causa di questi errori, sto pagando delle conseguenze, ma a differenza di te, ho sempre preferito dire a chi mi ama che è colpa di qualcos’altro: sei migliore di me, lo sai?”.
Piero non risponde alla mia domanda. Dà una carezza veloce al cane e mi dice in un soffio, “buona serata”.
Non ho potuto fare a meno di raccontare questa storia, voi mi scuserete. Non perché pensi che sia avvincente ma perché credo che, spesso, frammenti di storie come quella di Piero siano più veritieri di qualsiasi analisi sociologica. La crisi è anche crisi di umanità.
(micromega.net)

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