Sui diritti dei padri: due parole alle donne


Ho diverse amiche che hanno già procreato ed esercitano, molto felicemente, una maternità scrupolosa e amorevole. Aggiungerei anche "consapevole" e, con questo, alludo alla capacità - tutta femminile - di porsi quella domanda in più sulla vita (e se stesse e il partner e il futuro), generalmente, agli uomini assai sgradita. Domanda che, in alcuni casi e a dirla tutta, si risolve in un eccesso di seghe mentali tanto velleitarie quanto inconcludenti.

Portiamo questi figli dentro di noi per nove mesi, custodendoli e preparandoli a venire al mondo, che quando ci sono, quando escono fuori di noi e conquistano - giorno dopo giorno - una loro originalissima fisionomia, allora li vorremmo ricacciare dentro: per proteggerli, per un istinto incontrollabile che ci porta a credere che tutto quello che facciamo per loro, il nostro stesso amore, sia solo  fonte di cose belle, valori positivi, energia vitale.
E, invece, invece così non è. A partire da come consideriamo i nostri compagni (e padri). Sì, proprio gli stessi con cui quei figli li abbiamo desiderati, concepiti e messi al mondo. I padri sono i padri, importanti per carità, ma "il figlio è mio, l'ho fatto io, stavo crepando io di dolori in sala parto, mica lui, io ho più diritti di lui". Queste parole le ho sentite per davvero, da un'amica che attraversa una crisi con il papà di suo figlio. Sono parole venute fuori in un momento di rabbia, forse, ma che mi hanno fatto pensare.

Sembriamo continuamente essere guidate da un inconscio che, come un mantra, ci ripete il nostro diritto di prelazione sulla vita dei nostri figli: come se fossero oggetti - preziosissimi, per carità - ma pur sempre oggetti. Nostri prolungamenti, privi di identità, di un valore autonomo che deve potersi definire anche per contraddizione.
Alcuni giorni fa la Corte europea dei diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia per la violazione dell'art.8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, quello che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare: in buona sostanza, il sistema italiano non sarebbe in grado di garantire ai genitori separati - in particolar modo ai padri che sono quelli più frustrati dalle sue inefficienze - la continuità di un rapporto stabile con i propri figli.
Con la sentenza depositata il 29 gennaio scorso (Lombardo, ricorso n. 25704/11), la Corte di Strasburgo, dunque, ha censurato le autorità nazionali perché "non hanno messo in atto le misure necessarie a consentire una realizzazione effettiva del diritto di visita a un padre", a fronte di continui ostacoli posti dalla madre, la sua ex moglie.


Io non credo affatto che questo sia un problema limitato a un ristretto numero di famiglie. Non credo sia riducibile - come spesso certa informazione lo liquida - a un "guaio" che investe la categoria dei padri separati. Credo, al contrario, che - complici le inefficienze e le negligenze del nostro sistema giudiziario - sia una questione assai vasta e grave, una questione culturale, che riguarda la maternità e la paternità, il loro stesso esercizio in forza di un impianto di diritti che è interamente da riformare. E che vede le madri, come figure prioritariamente (quando non esclusivamente) depositarie dell'educazione dei figli. E questo nonostante la recente legge sull'affidamento condiviso, la l. 54/2006, che stabilisce il diritto alla bigenitorialità del bambino. Diritto, prima ancora sancito dalla Convenzione sui Diritti del Bambino di New York del 20 novembre 1989.


Due giorni fa, Guido Raimondi, vicepresidente della Corte europea dei diritti dell'Uomo,  ha detto al Sole 24 Ore: "Un diritto rimandato è, di fatto, un diritto negato e perso per sempre". Credo che come madri - mogli, ex mogli, compagne - dovremmo pensare un po' di più al fatto che l'aver dato la vita ai nostri figli significa che quella vita non è più nostra, e che loro sono titolari di diritti fondamentali che non coincidono affatto con i nostri (né con i nostri bisogni, né con le nostre rivendicazioni). E che, soprattutto, sono pienamente titolari della libertà di amare anche quel padre che ci ha fatto molto soffrire e che noi non amiamo più.


Commenti

Post popolari in questo blog

"Il desiderio di essere come tutti"

Nipoti

Balo come King Kong e le scuse ridicole