Se un passato a luci rosse fa scoop

Ogni tanto, in Italia, un giornalista pubblica uno scoop-che-non-è-più–uno-scoop da molto tempo, eccetto, apparentemente, per il giornale che lo ospita.
È accaduto anche ieri quando, per il decimo anno consecutivo, abbiamo tutti letto, condiviso e ritwittato la storia “piccante” che vede come protagonista la capo ufficio stampa dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – ente sotto la vigilanza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – con un passato di “bella e talentuosa attrice di film erotici e soft-porno”.
Questa, la non-notizia lanciata da Il Fatto Quotidiano, perché – si spiega – “i precari dell’INGV protestano contro la loro collega”.
Si tratterebbe di 270 degli ottocento ricercatori che, a causa dei tagli operati ai fondi per la ricerca dall’ex ministro Gelmini, lavorano senza contratto e, dunque, hanno più di qualche motivo per essere incazzati. E cosa fanno?

A quanto pare, anche quest’anno, come già accaduto in passato, hanno pensato bene di rispolverare i trascorsi della loro collega – che scienziata non è ma si occupa di comunicazione – colpevole di aver girato un film con Tinto Brass e di aver diviso con Pamela Anderson la copertina di Playboy. Dieci anni fa.
Oggi lei, Sonia Topazio, risponde loro per le rime e – a onor di cronaca – anche con un certo candore: “Vi dico il nome del politico che mi ha raccomandata se mi dite chi sono i precari che tentano di ancora di screditarmi tirando fuori il mio passato osé. La loro è solo invidia, ma non sono diversi, sono messi lì dai baroni universitari. La differenza è che io ho un grande passato e posso riciclarmi, loro fuori dall’istituto non contano un cazzo”.
Amen.
Ora, all’INGV si accede come in tutti gli organismi di ricerca pubblici e cioè tramite concorso. Una giovane ricercatrice A.C., mi spiega: “Concorsi da ricercatore ce ne sono ben pochi, ma ci sono spesso bandi per borse di studio e assegni di ricerca (i contratti dei cosiddetti “precari”) che ti permettono di lavorare nell’istituto. Le procedure dovrebbero essere pubbliche e trasparenti, ma molto spesso sono ad hoc, ovvero i bandi sono scritti per prendere/confermare/assumere una determinata persona”. Questo non vuol dire, spiega ancora A.C., che “si tratti di gente necessariamente raccomandata, ma spesso si parla di persone che per anni hanno lavorato nell’istituto e che sono state formate per un certo tipo di lavoro”.
Infine: “All’INGV si accede sempre tramite un professore/ricercatore che lavora o lavorava in uno dei due o in entrambi gli enti e che ha interesse a piazzare qualcuno per motivi vari: un sistema assurdo che nelle altre parti d’Europa e del mondo si risolve inviando un curriculum vitae”.
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Compreso l’interesse stupefacente (e reiterato) per il passato – certamente estraneo alla geofisica ma in qualche modo pertinente al variegato mondo della comunicazione – della Topazio: se avesse lavorato come tecnico del suono sarebbe stato uguale?
E allora, affiderei sempre ad A.C. le conclusioni: “La frustrazione che c’è in questi ambienti è notevole e genera situazioni molto critiche: non è bello vedere un capo ufficio stampa (che di geologia non ci capisce granché), mentre tu sei lì a fare un lavoro che spesso include anche fare le pulizie in laboratorio, dopo avere studiato almeno dieci anni e magari passarne altri dieci (quando va bene) con uno stipendio (quando va bene) che rasenta i mille euro. Ma quello che i precari della ricerca italiani dovrebbero capire è che fuori dall’Università c’è gente, con i loro stessi titoli, che se la passa anche peggio. Ma questa è la solita patetica guerra tra finti-poveri con l’I-Pad”.
(micromega.it)

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