Per essere (un po') felici

Quando insegui qualcuno, foss'anche un'emozione, il resto del mondo scompare, inabissato in un mare ebete e paludoso. Perché niente conta se non quell'unica cosa lì, a cui siamo dietro come segugi. Dimentichi tutt'intorno, mondo e sogni, mentre fissi solo davanti a te "l'oggetto dei tuoi desideri"; dimentichi di ascoltare la voce del mare, semplicemente, accostando una conchiglia al tuo orecchio; dimentichi tutto quello che sapevi alla perfezione fino a un attimo prima di quell'assurda corsa: che chi si fa rincorrere non ha alcun interesse a essere preso, ed è molto probabile che chi insegue, non voglia affatto finire la propria corsa. Perfettamente complici nel darsi reciproca insoddisfazione.
Ma basta poco, in fondo: una pausa per prendere fiato, uno sguardo che si posa, insolito, sulle cose trascurate da tempo, e riprendi poco a poco a vivere. Che vuol dire esattamente camminare piano, senza perdersi il rumore del mare per seguire un'emozione. Costa una fatica enorme capire quando occorre fermarsi e poi, subito dopo, fermarsi davvero: comporta una rinuncia a quella parte di sè che non intende vivere e stare al mondo, ma solo sentire. E invece, per essere un po' felici, ogni tanto, dovremmo stare ad aspettare il nuovo giorno, seduti solo con noi stessi, battito regolare e sguardo all'insù.

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