Di calcio e politica

Non amo il calcio. Nutro tiepide simpatie, puro campanilismo, per il Lecce, e trovo stucchevoli i dibattiti infiniti sulle tattiche messe in campo da questo o quel commissario tecnico. Agli accapigliamenti tra tifosi di squadre diverse, anche amichevoli, reagisco con stupore: mi impressiona sempre quel sovrappiù di passione – verbale e non – che ne viene fuori e dico tutte le volte che andrebbe travasata altrove, nel resto della vita.
Ma c’è un momento di una partita di calcio che mi piace e mi emoziona: quando il gioco finisce, e i calciatori che hanno vinto gioiscono e festeggiano la vittoria. A volte compiono gesti belli e forti che, per un attimo, fanno dimenticare l’enorme e scandaloso business che ruota attorno a loro. Io, ad esempio, assisto sempre incantata agli abbracci sportivi tra chi vince e chi perde.
Come ieri, alla fine di Juventus-Milan. Il capitano della Juve, Del Piero, ha scambiato la maglia col milanista Seedorf, anche lui numero 10, ma solo dopo essersi stretti con vigore. Vederli indossare, entrambi, i colori della maglia avversaria mi ha commosso fino alle lacrime: mi ha fatto pensare ai cavalieri medievali che dopo essersi battuti con valore, si scambiavano l’onore delle armi. È quello che definiscono “spirito sportivo” che dà senso a tutte le competizioni, comprese quelle elettorali.
È lo spirito che risiede nei segni più che nelle parole (che invece possono essere bugiarde). Segni di cui, noi cittadini, sentiamo molto la mancanza: sono rivolti a tutti, vanno oltre i colori di ciascuna parte e investono direttamente il significato complessivo, il senso fondamentale, di una gara, qualsiasi sia la natura della contrapposizione. Che non parla solo ad alcuni, alle rispettive tifoserie, ma a tutto il “pubblico”, a noi che dobbiamo scegliere chi è il migliore in campo.
Come accade in politica: dove qualsiasi competizione è esasperata dalla definizione di chi scende in campo – “chi sono io e chi sei tu” – e dalla demarcazione dei relativi ambiti d’appartenenza – quel territorio mi appartiene, è “cosa” mia – più che dal significato che riveste una presenza e dalla volontà di rintracciare risposte sensate per il fantomatico “bene comune”.
È paradossale questo fatto: quando lo capiranno i nostri rappresentanti? Invece di interrogare i sondaggisti, imparino dagli sportivi: vedere Del Piero con la maglia rosso-nera non avrà fatto godere i tifosi juventini (e viceversa) ma a me, che tifosa non sono, è sembrata una grande lezione politica.
(micromega.it)

Commenti

Post popolari in questo blog

"Il desiderio di essere come tutti"

Nipoti

Balo come King Kong e le scuse ridicole