Avvenire, Pisapia e la Costituzione prêt-à-porter

Secondo Avvenire la decisione del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, di destinare anche alle coppie di fatto i fondi anti-crisi, violerebbe la nostra Costituzione. A scrivere sul quotidiano dei vescovi il commento critico è Francesco Riccardi:
“La giunta comunale ha pensato bene (anzi male) di agire facendo leva sulla definizione di “famiglia anagrafica”, così come ridisegnata dalla legge del 1989. Questa prevede – al solo fine, amministrativo, di “fotografare” le situazioni di fatto – che siano registrate sullo stesso stato di famiglia «l’insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozioni, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti…»”.

L’editorialista argomenta richiamando i due articoli della nostra Carta fondamentale che fanno esplicito riferimento alla famiglia, in quanto “società naturale fondata sul matrimonio” (art.29) e per la cui formazione impegnano la Repubblica ad agevolarla “con misure economiche e altre provvidenze” (art.31). E infatti, scrive:
“Porre sullo stesso piano coppie che – sposandosi civilmente o religiosamente – assumono un preciso impegno pubblico e persone che – per scelta, o per impossibilità – non rendono vincolanti i propri legami “affettivi”, significa violare la lettera e lo spirito della nostra Carta fondamentale”.
Il dibattito che vede impegnati giuristi e costituzionalisti sul merito della norma, l’articolo 29, che definisce l’istituto matrimoniale, non risale a ieri. E stupisce non poco che, ancora oggi, si muovano rilievi che non tengono conto di alcune evidenze. Innanzi tutto, del dato storico: i nostri costituenti hanno scritto questo testo, nella seconda metà degli anni Quaranta. Poi, di quello giuridico: non si tratta affatto una norma limitativa, perché pur riconoscendo solennemente la famiglia fondata sul matrimonio, non vieta certamente di ammetterne altre. Si tratta, cioè, come spiegano molti giuristi, di una norma in sé neutra, scritta in anni molto diversi dai nostri, in un contesto sociale che certamente ha poco a che fare con quello dell’Italia di oggi.
Criticare, dunque, un provvedimento assunto per fornire un aiuto alle famiglie, sposate e non, in chiave anti-crisi, utilizzando l’argomento che settant’anni fa i padri costituenti non abbiano contemplato la possibilità che nei decenni successivi la società intera si sarebbe confrontata con diversi tipi di famiglie, che l’evoluzione sociale e i cambiamenti economici hanno di fatto contribuito a determinare, significa imputare loro di non avere avuto doti di chiaroveggenza. Un’imputazione piuttosto ridicola.
Marco Balboni, docente di Diritto dell’Unione europea a Bologna, sottolinea infatti come una “norma storicamente datata, debba essere interpretata alla luce dei bisogni e dei dati del presente ovvero, come si dice, in senso storico (sì, ma) evolutivo”.
Secondo il giurista, il criterio alla base della Costituzione italiana del dopoguerra – che non è eticamente orientata – è “il rispetto della dignità di ciascuna persona, sia presa in sé come valore assoluto, sia presa in rapporto agli altri, con i quali essa convive e si confronta”.
Del resto, se la famiglia è un dato pregiuridico, sociologico, che l’art. 29 si è limitato a riconoscere nel modo in cui si presentava negli anni Quaranta, “come si può dire che il costituente abbia inteso precludere una volta per tutte che la Repubblica tuteli altre forme di famiglia mano a mano che esse sociologicamente si presentano?”.
Ma non basta. Riflettendo sulla famiglia e la sua storia sociale che l’ha portata, oggi, a diventare una realtà plurale e complessa, non si può non ricordare il discorso sulla famiglia fatto da Ernesto Balducci, padre scolopio, in occasione del referendum sull’aborto. La risposta migliore al punto di vista espresso sul quotidiano cattolico, da Riccardi:
“Ogni espressione dell’uomo, ma la famiglia in particolar modo, in quanto si innesta nei rapporti sociali generali, ha bisogno di istituzionalizzarsi. La istituzionalizzazione è un momento di serietà umana, il momento in cui si traduce in norma esterna la responsabilità di fronte alla società intera”.
Ma poi, Balducci aggiunge:
“Però, non è con questo momento istituzionale che si definisce la famiglia. Il momento istituzionale è quello in cui l’esperienza della famiglia assume rapporti e responsabilità con l’insieme della realtà sociale. Ma questo momento, lo ripeto, è del tutto legato alle condizioni storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni storiche; perciò oggi c’è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia”.
Era l’anno di grazia 1974.
(micromega.it)

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