Il vento mi prende a schiaffi

La spiaggia è semideserta, con un'ipotesi di sole e un vento che mi schiaffeggia senza tregua, con l'unico vantaggio di farmi restare vigile. In ascolto della voce del mare. Mi vesto, tanto ho freddo: se sopportassi meglio quest'aria aperta, riuscirei a gustarmi la mia pelle che finalmente respira. E invece, devo constatare che ho bisogno di coprirmi. Di mettermi al riparo. Ho voglia di una mediazione che non mi faccia sentire abbandonata a me stessa. In riva al mare. Distesa sul lettino, accanto a un ombrellone inutile, so di essermi circondata da cose rassicuranti: tante cose che stordiscono. Riempiono. Accompagnano. Occupano. Tutto in riva al mare. Così sembra di essere meno sola. Leggo l'ultimo servizio di Fabrizio Gatti sui bimbi chiusi nel centro di accoglienza a Lampedusa. Un ragazzo senegalese pieno di collane di osso e avorio si avvicina. Siede ai piedi del lettino. Scelgo una collana e lui chiede a me da dove venga. Mi fa sorridere: siamo entrambi 'profughi', scampati a non si sa quale tempesta. Gli piace Lecce: ci vive suo zio e una folta comunità di fratelli senegalesi. Prova a prendere informazioni: quanto costa una casa in affitto? E mangiare? E per i documenti penso sia facile? Niente è facile, gli dico aspra. E lui, per non rovinarsi il sogno, risponde che sarà meglio di Milano. Io, pentita, gli faccio sì con la testa. Mi saluta, provando a vendermi anche un bracciale, per non dovermi dare il resto dei soldi.
Ma io sono irremovibile. Me ne regala uno in cuoio e ci salutiamo. Torno alle mie cose, che nel frattempo sono anche aumentate. Vorrei indossare la collana ma 'non c'azzecca' nulla col costume. La tengo in mano mentre tremo sempre di più. Dal freddo.

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