"Scusate il ritardo"

Mi sembra di non riuscire a star dietro ai cambiamenti. A tenergli testa, a governarli e neppure a seguirli a distanza. Arrivo sempre dopo, a cose decise, sentimenti provati, appuntamenti mancati, senza neppure chiedere scusa per il ritardo inflitto al mondo. Sono stufa di arrivare dopo, stufa di tutto questo spreco di tempo, terrorizzata all'idea che quando accadrà quello che deve accadere, sarà troppo tardi. Tempo scaduto.
Ho sempre amato i passaggi: la loro malinconia come la loro dolcezza. Sanciscono la fine di un tempo e l'inizio di un altro, al momento giusto: non un attimo prima né uno dopo. Privi della ferocia tipica delle soluzioni di continuità: scelte di rottura, addii, licenziamenti, dimissioni, distacchi, morti. Pagine strappate. Preferisco cambiare quaderno, oppure le pagine mantenendo intatta la stessa preziosa, consumata copertina.
Stasera ho l'impressione di essere l'unica abitante del mio quartiere, della periferia Sud di Roma, di tutta la città: tutti fuori, solo io dentro, a presidiare un territorio che non è il mio e mai lo sarà. 
Oggi è un giorno di passaggio. Quello più contingente, che mi traghetta verso un (breve) tempo vacanziero. Mi fa tornare a casa, dove mi aspettano fantasmi, letti di bambina, un passato senza ricordi, una famiglia evanescente.
Il mio presente mi sembra anche lui un po' passato.
Non so in quale tempo collocarmi. Eppure ne avrei bisogno. Vorrei poter regolare il mio orologio: in maniera certa, serena, senza ripensamenti. Ed essere puntuale, presente a me stessa, senza riserve. Vorrei poter arrivare un po' prima, questa volta. Anche solo un attimo. Per avere l'impressione di decidere io, per me.

Commenti

  1. Probabilmente questo è un diario e la mia interferenza (come forse quella di chiunque altro) non è espressamente richiesta; tuttavia ti ho letta e i miei pensieri e la mia "lingua" raramente hanno filtri (giusto in situazioni da brodo di giuggiole vedi nostro incontro al Cassero) e quindi volendo scrivere a te che in fondo probabilmente (con un certo rammarico) non conoscerò mai, senza filtro scrivo.

    Ognuno è la sua propria croce, la sua propria (anche perversa) delizia e temo che lo sperare in determinati momenti, anche molto dilatati perché no?, di avere una natura differente dalla propria sia cosa di tutti, almeno di tutti quelli che hanno occhi troppo svegli per piacersi davvero, e una mente troppo viaggiante per non capire quanto minuto sia il proprio limite pur nella variabile ampiezza... Ma alla fine ognuno trova in sé un alibi, quello che lo discolpa dall'essere diversamente, che lo autorizza ad essere come è, che magari anche solo brevemente gli toglie quella malinconia acida che pesantemente ci portiamo addosso e ci fa essere così inadeguatamente stronzi.

    Persino chi decide di ammazzarsi trova nell'atto estremo una risposta al suo non bastevole essere.
    Gli esseri umani sono fonti di decisioni più o meno consapevoli. Il problema non è la passività o l'attività, in quale delle linee di "questa antica festa crudele" finisci per trovarti (o credi di decidere di trovarti), il problema è cosa racconti a te stessa come verità.
    Quel che resta sei tu.

    Buon viaggio e a presto.
    A.

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  2. Andrea, che dire? cosa aggiungere? Nulla: tutto quello che hai scritto, parola per parola, lo sottoscrivo, me lo dico come un disco rotto da anni. E' solo che a volte ci raccontiamo altre storie, soprattutto quando è sera, e sentiamo freddo.
    Grazie...

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