E basta "fare" i figli!

Confidare un'inquietudine a chi ci ha generati è un atto totalmente irrazionale: un pregiudizio positivo, colorato di speranza, di vedere accolto e accudito anche il nostro lato oscuro, quello più ignoto e difficile da leggere da parte di chi ci ha fatto dono dell'imprinting originario.
E infatti succede che una madre, dopo aver ascoltato, preso nota, elaborato e tremato, a contatto con una tristezza e una stanchezza della figlia - entrambe passeggere, come tutto il resto d'altronde - risponda nell'unica maniera in cui riesce a sentirsi confermata come madre: colei che dal momento stesso in cui ha dato la vita, non può più fare a meno di ripetere all'infinito quel parto.

"Anch'io, quand'ero insoddisfatta e non ne capivo il perché, semplicemente mi limitavo ad andare avanti, e ancora avanti. Allora, le uniche cose che tuo padre riusciva a dirmi erano 'pensa a chi i problemi ce l'ha sul serio!'".
Ammetterete, che non si tratta di un incoraggiamento in senso stretto (ma neanche in senso lato). Né di un consiglio razionale. Piuttosto, di un invito ad andare incontro al proprio destino, benevolmente. Che ha una sua saggezza. Un po' disperante, a dire il vero. Ma antica e solida. Col tempo, invece, "noi figli" ci siamo abituati a pensare che quando qualcosa non va - in noi, intorno a noi, tra noi e gli altri - bisogna fermarsi e provare a capire. Prima di andare avanti. Per scoprire, così, che è il caso di non proseguire più diritto.
Che bisogno ci sia, dopo una certa età, a voler fare i figli a tutti i costi, questa è domanda interessante a cui cerco di dare risposta, stanotte. Un bisogno destinato a rimanere inappagato. Sospeso tra due mondi, il cui unico punto di contatto è quell'antico atto generativo. Fatto di luce e non di ombra. E dove anche il dolore che si ripete è solo un utile contrappeso alla vita.

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