The day after su Libero e il Giornale


È stranamente lieve leggere il Giornale e Libero “the day after”. E un’esperienza anche un po’ comica. Non solo per la consueta metanarrazione proposta ai lettori, della disfatta elettorale del centrodestra: ma soprattutto per le rispettive scelte iconografiche, di sicuro impatto emotivo. Una roba da spedire le “sciure” milanesi al pronto soccorso più vicino (in codice rosso).
Così, la prima pagina del foglio berlusconiano, diretto da Sallusti, ospita in primo piano una sventolante e gigantesca bandiera con Che Guevara (sottotitolo obbligato: “Hasta la victoria siempre”) che copre quasi completamente, ma non abbastanza, il duomo di Milano: un contrasto che, immaginiamo, abbia provocato vere crisi di panico misto a terrore agli aficionados conservatori della “Madunina”.
Titolo in taglio alto: “Grande psicodramma”, spiegato da un editoriale del direttore sintetizzabile con una manciata di lessemi: Sallusti definisce “una grande, enorme stronzata” la scelta dei milanesi per Giuliano Pisapia “già amico di terroristi prima e di centri sociali poi”. Per poi chiudere in bellezza, con un’elegante battuta rivolta a Nichi Vendola - “padrino di Pisapia” - che ieri aveva ringraziato i “fratelli rom” e parlato di “città liberata”: “Ma parla per te”, ribatte Sallusti, “gli sfruttatori di bambini e scippatori di vecchiette saranno fratelli tuoi!”. Come utilizzare in una manciata di parole tutti i peggiori “tòpoi” della colorita comunicazione pre-elettorale morattiana. Chiude questo capolavoro di prima pagina (da stampare e conservare a futura memoria), il consueto pezzetto del “libero” intellettuale di regime, Marcello Veneziani, che sentenzia come un Paolo Fox qualsiasi, dunque, più sfigato dell’originale: “Io credo ai simboli e penso che quel duomo in faccia a Berlusconi sia stato il segnale e il presagio di ciò che sarebbe accaduto a Milano”. E così sia.

Ma l’acme del racconto post-elettorale e dell’analisi del voto è prerogativa di Libero, con un Vittorio Feltri che non delude mai. Già ieri pomeriggio, quando la vittoria del centrosinistra era data per certa sulla base degli intention poll, rimbalzava in Rete il formidabile titolo che il giornale aveva pubblicato sulla sua homepage: “Ora godetevi il comunismo”. Immortalando, così, non solo un ossimoro semantico - godimento e comunismo – dai sicuri effetti comici, ma fermando in un’istantanea verbale, quella che serenamente – oggi – possiamo definire in romanesco “la grande rosicata”.
A mente lucida, sulla prima pagina di oggi, poi, il tandem direttoriale Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro parla senza mezzi termini di “catastrofe” e “disastro”. E per rendere meglio l’idea, ritrae un Silvio Berlusconi caricaturale e piangente, sotto il titolo allusivo: “Chiagne e non fotte”. Il corsivo di Feltri contiene un invito al Cavaliere a tornare a fare “il Berlusconi”. Che vuol dire? Tradotto in sintesi: nei prossimi due anni, conclusivi della legislatura, la maggioranza di governo dovrebbe realizzare la promessa “riforma liberale”, “combattere” burocrazia, poteri forti, corporazioni. Tutti punti del programma berlusconiano tradito e ignorato nei fatti, perché - Feltri si rivolge direttamente al presidente del Consiglio - “Lei, ha le mani legate e la testa occupata da enormi problemi personali”.
A questo punto, non citare Karl Marx significherebbe fargli un torto: “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. E oggi non è certamente tempo di tragedie per il centrodestra.

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