"Come stai?" "Male, grazie"

Penso che abbiamo un problema con il mondo: un problema di "contatto". Non so se questo problema sia  prima "privato" e poi "pubblico" o viceversa. Ma succede esattamente come quando telefoni e non prendi la linea: tutte le domande restano dentro di te e, soprattutto, non saprai mai quali risposte ti avrebbe dato chi stavi cercando. E' deprimente.
Non so voi ma io sento fortissimo questo malessere. Credo sia indotto dal clima intorno a me, da questa mancanza di ossigeno, e di spazio, e di domande non poste. Non mi aspetto che sia Tremonti a chiedermi di cosa abbia bisogno, ma almeno i miei pari sì. "Come stai?", "Male grazie": nessuno me lo chiede più. Soprattutto, facendomi anche il regalo di fermarsi ad ascoltare la mia risposta.

Sarà questo "pubblico" osceno che fa da sfondo alle nostre solitudini private, ma sono terrorizzata dall'idea che anche i nostri mondi - di singole persone comuni - si stiano frammentando, disegnino percorsi destinati a non incontrarsi mai. Ogni tanto - spesso - ci provo a chiedere alle persone che mi interessano "come stai?", vorrei aggiungere "davvero" alla mia domanda: per rinforzarla, darle respiro, e tono, e verità. Ma poi temo di essere troppo melodrammatica e ci rinuncio. Anch'io ho paura delle risposte, in definitiva. Per questo, mi ferisce moltissimo quando non arrivano quelle vere.

Commenti

  1. Io lo aggiungo spesso quel davvero.
    Presumibilmente perché mi aspetto che le persone mi dicano "va bene" superficialmente.
    Il problema della società in cui stiamo vivendo è il suo essere monoporzione, anche nei sentimenti e nelle relazioni. Un appiattimento longitudinale da encefalogramma preoccupante.

    A presto.
    A.

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