Storie di donne


Ci sono almeno tre donne, ieri, che in piazza non sono riuscite proprio a scendere. Forse, in un’altra vita, avrebbero avuto la forza di manifestare la propria personale, privata, battaglia per i diritti. In realtà, sono donne “sradicate”, fragili. Forse, come e più di tante altre donne: sono Claudia, Alessandra e Roxana. Se parli loro della mobilitazione di ieri, per e di tutte le donne, di coscienza civile, di cultura e diritti, le senti rispondere con un sorriso: “Cosa vuol dire? A me basta vivere serena con la mia famiglia, e non dover temere niente”. Oppure: “Mi sembra inutile: quando ne avrò la forza, magari”.



Loro sono ancora alla ricerca di una libertà che le faccia vivere dignitosamente.

La prima si chiama Claudia. Nome italiano per una giovane donna romena che qui vive da dieci anni. Insieme al proprio compagno, un connazionale, Catalin. Claudia è diplomata, ma qui ha iniziato ad andare a servizio nelle case più agiate. A Claudia piace molto indossare begli abiti, “quelli che in Romania, nel mio paesino, non si vedono neppure nei negozi più moderni”. Forse per questo, quando – tempo fa – un ragazzo italiano, “il figlio della signora” che aiuta nelle pulizie, le regala un cappottino, lei non gli dice “no”. Ma lo ringrazia, arrossendo per l’imbarazzo. “Lo desideravo da qualche mese”, mi dice, “ma costava troppo e Catalin mi aveva detto, ‘scordatelo’!”. Poi, aggiunge: “Quello, poi, non mi ha chiesto nulla in cambio”.

Due giorni dopo, Catalin nota il cappotto nuovo, nascosto nell’armadio. E capisce che si tratta di un regalo: Claudia, infatti, consegna a lui tutti i soldi che guadagna, e trattiene il necessario per fare la spesa e, quando serve, pagare le bollette.

Non dice nulla. Si sfila solo la cinta dai pantaloni e chiede a Claudia di stendersi sul letto, a pancia in giù, con la schiena nuda. Quella sera la colpirà per una buona mezz’ora. Incurante dei pianti e delle urla. Smetterà soltanto quando Claudia gli urla di fermarsi, dicendogli, finalmente, che ha in grembo suo figlio.

La seconda donna che ieri non è potuta scendere in piazza è Alessandra. Lei è abruzzese e si è trasferita a Roma per lavoro. È molto espansiva, brillante e bellissima. Alessandra è una donna transessuale che non ha ancora terminato il proprio percorso di transizione. Nel frattempo è rimasta senza lavoro. Una settimana fa, invia un curriculum, rispondendo a un annuncio pubblicato su Porta Portese: “Si trattava di lavorare come commessa in un franchising romano di abbigliamento maschile”. Fissano un appuntamento e quando Alessandra si presenta, il tizio del negozio non si preoccupa neppure di fingere quello che sarebbe dovuto essere un colloquio di selezione: “Non mi ha neppure fatta parlare. Mi ha semplicemente chiesto, ‘signorina, ma lei conosce il russo?’”. Alessandra (come non darle torto?) gli ride in faccia. E se ne va, senza mai girarsi dietro. Continua a inviare curricula. Fino a ieri, quando la chiamano da un supermercato. Mi ha inviato un sms che diceva: “Ho paura che anche questi possano mandarmi via. E questa volta, non avrò neppure la forza di riderci su!”. Stamattina, alla cassa del market vicino casa, c’era lei. Ho finto di dover fare la spesa. Lei mi ha sorriso, felice.

La terza donna assente, in piazza del Popolo, è la più importante: Roxana. Lei è una bimba rom che proprio ieri compiva 9 anni. Intelligentissima, parla l’italiano meglio dei miei nipoti. È la figlia di Camelia, una signora che il quartiere ha ormai adottato: tutti le portano vestiti, coperte, giocattoli, cibo. Camelia e la sua famiglia vivono in una roulotte: lei, sua sorella, il marito di sua sorella e i tre figli. Del loro padre, nessuna traccia. Camelia soffre di epilessia e deve assumere molti farmaci ogni giorno. Ma, come timbrasse il cartellino, è fuori dal supermercato, da mattina a sera. Sempre sola. In questo anticipo di primavera, ha portato con sé anche i figli: a turno, uno al giorno. L’altro ieri, Roxana – faccia da furbetta - diceva a tutti: “Domenica è il mio compleanno, date a mia madre un regalo per me? Lei me lo porta la sera, poi!”. Una signora, a un certo punto, le chiede: “ Ma cosa vorresti per regalo?”. E lei, un po’ indispettita: “Che devo volere? Sono femmina: cose che vanno bene per bambine della mia età!”.

Se Roxana, Chiara e Claudia, se tutte loro, e quelle donne che come loro rappresentano il volto più emarginato e meno integrato del nostro Paese, che combattono ogni giorno con tanta dignità per andare avanti, fossero venute in piazza, la festa di ieri sarebbe stata perfetta. E lo sarà, un giorno. Forse. Ma non possiamo più permetterci di aspettare. “Se non ora quando?”, la risposta deve essere, “oggi, domani, sempre”. Per dare voce a chi, in piazza, forse, potrebbe non scendere mai.

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