Opus gay


Quando ho iniziato a scrivere questo libro sul rapporto tra chiesa cattolica e omosessualità, mi sono sentita in difficoltà. Come giornalista, infatti, avevo già affrontato in passato la questione dei diritti civili e provato a indagare le ragioni della loro costante violazione. Questa volta, però, avrei dovuto interrogarmi e scegliere le parole giuste per raccontare due realtà che, in modo diverso, hanno sempre fatto parte della mia vita. Ma non c’erano parole giuste per descriverle. Solo espressioni limitate che, purtroppo, rischiavano di tradirle.
Da una parte la chiesa: ho studiato in una scuola cattolica per otto anni e sono stata, letteralmente, accompagnata nella mia formazione da un prete. Tutti i sabati, con i miei amici, leggevamo la parola e cercavamo di comprendere come farla entrare nelle nostre vite.
Dall’altra parte, le persone omosessuali. È davvero strano parlare di loro come se fossero una categoria a sé: ogni volta mi sembra di ridurli a un’etichetta. E di violarne la dignità di persone a tutto tondo.
Nella realtà funziona esattamente al contrario: incontri qualcuno, inizi a volergli bene e lui ti confida, tra le altre cose, anche le sue preferenze sessuali. Tu ne prendi atto, e vai avanti. Nella vita di tutti i giorni, semplicemente, fai esperienza dell’altro, senza incasellarlo o definirlo come si è costretti a fare nei libri. O nelle discussioni dottrinali.
Così è successo anche a me. E quando ho incontrato un mio caro, vecchio amico gay, mi sono lasciata guidare da lui nel suo mondo, mettendoci anche un po’ del mio.
Questa prima relazione ha messo alla prova quello in cui credevo, che professavo con molta sicurezza e altrettanta serenità. Non c’è stato alcun conflitto. Ma una sintesi di vita: i miei principi si sono addolciti e la verità delle singole persone si è fatta avanti. Con la conseguenza, inevitabile, che entrambi – valori e vissuto – si sono, in parte, relativizzati: una vera liberazione. Una conquista. Che credo abbia ispirato anche queste pagine: ogni capitolo è stato, in fondo, provocato proprio da un incontro. A volte, è una testimonianza, altre un’intervista, altre ancora uno spunto giornalistico, ma qui non ci sono tesi da dimostrare. Solo alcuni fatti che ho provato a raccontare, e la proposta di altrettanti percorsi di lettura.
Se dovessi, alla fine, suggerire ai lettori due chiavi con cui “aprire” il libro, queste sarebbero certamente la responsabilità e la libertà.
Credo, come Lévinas, che la responsabilità nasca (e possa nascere) solo dalla relazione con l’altro e non da un principio. «l’estraneo che non ho né concepito, né partorito, l’ho già in braccio»1, scriveva il filosofo francese. È l’etica della differenza. Che, se solo diventasse un bene comune – proprio come l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo e la terra che calpestiamo – avrebbe una portata rivoluzionaria sulle vite di tutti. E capovolgerebbe il nostro punto di vista di persone integrate, riconosciute, privilegiate, tutelate. Eterosessuali, anche.
La libertà è l’altra faccia della responsabilità. Non è affatto vero che la mia libertà inizia dove finisce quella altrui. Credo, al contrario, che cominci esattamente nel punto in cui parte la libertà dell’altro. Ed è capace di realizzarsi solo nel rapporto con lui.
Ecco, fino a quando esisteranno persone, gay, lesbiche, transessuali, che non saranno libere di vivere dignitosamente, di tutelare i propri diritti, di vedere riconosciute le proprie scelte, fino a quel momento, nessuno sarà realmente libero. E ne siamo responsabili tutti.

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