Verso Copenhagen: quello che c’è da sapere

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Dal 7 al 18 dicembre si terrà nella capitale della Danimarca la conferenza mondiale del clima. Nelle intenzioni, il “protocollo di Copenhagen” avrebbe dovuto sostituire quello di Kyoto, stilando le future linee guida per ridurre le emissioni CO2, dalla fine del 2012. L’obiettivo previsto era un aumento massimo della temperatura globale di 2° C, realizzabile con una riduzione da parte dei paesi aderenti del 40-50 per cento delle emissioni entro il 2050.

· Il protocollo di Kyoto del 1997, sottoscritto da 160 paesi (Usa esclusi, Cina e India esonerati in quanto paesi in via di sviluppo), stabilisce obiettivi a lungo termine per la riduzione dei gas serra, che in media dovranno essere ridotti, dagli Stati aderenti, dell’8-12 per cento tra il 2008 e il 2012.

· Gli Stati Uniti, fuori da Kyoto, guidano la classifica degli inquinatori con 19 tonnellate di CO2 pro capite, seguono Russia con 12, Unione europea con 8, Cina con 5 e India con 1,5 tonnellate. La classifica cambia se si considera la produzione di CO2 in rapporto al Pil: in questo caso sono prime Cina e India.

· L’Europa è all’avanguardia nella lotta ai gas serra: gli Stati dell’Ue si stanno impegnando a ridurre del 20 per cento le emissioni entro il 2020 rispetto all’anno base del 990.

· Usa e Cina. Da entrambi i paesi, giungono segnali simbolici e politicamente significativi: con il presidente Obama che presenzierà, il 9 dicembre, al vertice (per andare via subito dopo) e la Cina che sarà rappresentata dal suo primo ministro. Se pensiamo che, inizialmente, entrambi i paesi non volevano assumersi impegni vincolanti sul clima, comprendiamo che l’attuale cambio di tendenza è piuttosto importante e rappresenta una svolta politica. Meno significativo, tuttavia, in termini concreti: gli Usa puntano, infatti, a diminuire le proprie emissioni del 17 per cento rispetto al 2005 e non rispetto al 1990, anno di riferimento per il Protocollo di Kyoto (infatti, il pacchetto clima dell’Ue punta a una riduzione del 20 per cento proprio rispetto al ’90), che equivale a un taglio di solo il 3 per cento rispetto al 1990. Anche per la Cina, c’è il ‘trucco’: Pechino, infatti, ridurrà del 40-45 per cento (sempre rispetto ai livelli del 2005) la propria intensità energetica, vale a dire il rapporto che c’è tra le emissioni e il prodotto interno lordo. Come? Aumentando l’efficienza energetica, diminuirà il tasso di incremento delle emissioni di circa il 15-30 per cento.

· I principali punti di negoziazione tra i leader mondiali includeranno non solo i tagli alle emissioni, ma anche la messa a punto di misure finanziarie per raggiungere gli obiettivi di riduzione di CO2 senza fare venir meno gli obiettivi di sviluppo (come quello di garantire un accesso affidabile per gran parte della popolazione mondiale). Un accordo dovrà essere siglato tra i paesi ricchi allo scopo di aiutare quelli più poveri nella realizzazione di infrastrutture energetiche pulite, mediante il trasferimento di risorse, anche economiche. In questo senso, anche l’utilizzo dell’atomo, opzione che in passato era stata esplicitamente esclusa dal fornire supporto in questo contesto, oggi sta crescendo, giudicato indispensabile nella riduzione delle emissioni di CO2 da tutti i principali paesi, inclusi alcuni suoi ex detrattori.

· A Copenhagen si fisserà un quadro di riferimento il più possibile chiaro su cui, in seguito, poter costruire impegni vincolanti che, difficilmente, potranno uscire fuori dal vertice. È molto probabile che quest’ultimo si limiti alle sole dichiarazioni di intenti (sebbene ad altissimo livello). ID

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