Il diritto di disporre della nostra vita


Caro Augias,

la pletora di parole e buoni sentimenti che ci ha inondati tutti, nei giorni scorsi, sulla vicenda umana di Eluana Englaro, è la prova provata di quanto due misteri silenziosi, come la vita e la morte, siano puntualmente "tirati per la giacchetta" da quanti – politici, media, cardinali e vescovi – sembrano essere pronti a darsi battaglia per rivendicare la fondatezza di una Tesi o la sacralità di un Principio, sulla pelle degli altri. Mentre quella vita, così lieve, andava via e, simbolicamente, portava con sé tante altre vite come quella, pensavo che non ci fosse nulla di davvero irrinunciabile da dire.
Oggi, invece, è tempo di parlare ed esercitare il proprio diritto di critica. Sono due i riferimenti che mi hanno accompagnato nella riflessione che le propongo.
Il primo è un documento della Società Italiana di Cure Palliative e della Federazione Cure Palliative che spiega come con la nuova legge, che rende obbligatorie nutrizione e idratazione forzate, si moltiplicherebbero le sofferenze dei malati terminali. Mi è parso, quello dei medici dei malati terminali, un contributo fondamentale al dibattito: una legge siffatta, "estenderebbe tale obbligo anche a coloro che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità, per le quali non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnarle a una fine dignitosa".
L'altro documento è quello dei teologi del Centro studi teologici di Milano: "È significativo il nuovo oscurantismo tutto cattolico, che mentre proibisce le tecniche di supporto scientifiche e le metodiche sofisticate per permettere alle donne una procreazione assistita (dicono artificiale) in caso di grave e irreversibile sterilità, e quindi si oppone alla nascita di una nuova vita, vuole invece che altrettanto sofisticate macchine e ausili di supporto continuino a funzionare per tenere in vita una vita-morta".
Ora, invece, quando tutte le provocazioni verbali sembrano essersi assopite e per esercitare il sacrosanto diritto, democratico, dunque libero, di espressione "politica" – nel senso più alto del termine – della nostra cittadinanza, credo sia giunto il momento di "manifestare" l'esistenza di un senso più alto che la vicenda di Eluana ci ha lasciato "in eredità": a Roma, a piazza Farnese, sabato 21 febbraio alle ore 15. Perché, leggo nell'appello lanciato da tanti intellettuali italiani e sottoscritto da migliaia di cittadini, "La vita di ciascuno non appartiene al governo e non appartiene alla Chiesa. La vita appartiene solo a chi la vive". ilaria donatio da la Repubblica del 20-02-2009

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