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Visualizzazione dei post da novembre, 2012

Diario della mia vita da commessa (parte due)

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Arieccomi . Riprendo il Diario della mia vita da commessa part time (#c'ègrossacrisi) anche se dall'intimo firmato sono passata al caffè (sempre firmato eh). Lavorerò per tutto il mese di dicembre per otto ore al giorno, dal venerdì alla domenica e durante i feriali farò turni più brevi, alla bisogna. La boutique del caffè è centralissima, assomiglia più a un club che a un negozio e se lo chiami semplicemente caffè, alzano il sopracciglio ma sempre col sorriso - "meglio Cru, Grand Cru" - e poi ci sono svariate combinazioni di miscele di origini diverse  - "blend, meglio blend" - e varietà "pure origin" che provengono esclusivamente da quelle coltivazioni e i decaffeinati naturali, tramite acqua, mica quello che compra mamma al supermercato - "ché lì il processo di decaffeinizzazione avviene chimicamente" - ed è tutto un "bouquet, un'armonia, una nota fiorita, speziata, robusta, fruttata, tostata e perfino legnosa" (quest

Formigoni come la croce rossa e due parole a Lerner

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Ormai la vicenda che ha coinvolto Roberto Formigoni, la sua portavoce e Cristina Parodi  è nota : dopo un’intervista al Cristina Parodi live, nuovo programma di La7, il governatore della Lombardia, infuriato per le domande, a suo giudizio non strettamente politiche e non concordate prima con l’intervistatrice, se l’è presa con Gaia Caretta, sua portavoce, urlandole contro: “Adesso stai qui e spacchi la faccia alla Parodi, e a tutta questa banda, oppure sei licenziata”. Caretta, in serata ha inviato questo tweet: “Non parlo della vicenda di oggi, sono coinvolta in prima persona e non lo riterrei serio e professionale. Ringrazio x gli attestati di stima”. Un comportamento comprensibile e, se vogliamo, professionale.

La democrazia sputtanata e ferita

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Ieri è stata una giornata terribile per tutti noi e per quei diritti fondamentali di cui ciascuno gode ma che non hanno corpo e sostanza fino a quando non sono violati, calpestati, feriti. Tre fotogrammi completamente diversi hanno invaso le nostre bacheche “social”, hanno attraverso il web e sono andati via cavo, a testimoniare che la democrazia è ancora una terra da conquistare. Almeno una parte importante di essa. Il primo è rappresentato dalla “medaglia” a due facce delle manifestazioni di ieri: il bastone del poliziotto che colpisce da dietro un giovane e i molotov e le spranghe dei balordi. Immagini che hanno mostrato a tutti quanto abbiano bisogno, l’una dell’altra, queste due violenze – quella degli infiltrati nei cortei e quella dello Stato che picchia duro, e non solo per difendersi – due “furie” che puntualmente si danno convegno quando a scendere in campo per protestare in difesa dei loro diritti sono studenti, operai, cittadini, altrimenti invisibili. Occorre dirlo c

Vorrei usare parole perfette

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A me la ciclicità fa paura. Tanta, forse troppa. Peccato sia il tic umano più diffuso, l'abito più indossato. Discuto con me stessa mentre mi colgo in flagranza di reato: mi detesto con forza, ogni volta che commetto gli stessi errori, quando mi abbandono a identiche illusioni (che ho passato al vaglio, analizzato, razionalizzato, esaminato a prova di entomologo), riaccarezzo ipotesi scartate da tempo e ridò corpo a pensieri vaporizzati sul nascere, evanescenti, troppo per reggere allo scontro la realtà. E basta! Gli altri, solo quelli da cui mi sento circondata come da un esercito minaccioso, mi sono tutti complici in questo eterno tornare sui propri passi: sembra che l'unica cosa che ci unisce sia quella di fare infiniti giri intorno al tavolo della realtà parallela, quella che non esiste.

Il giorno delle anime

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Il "Giorno delle Anime" lo chiamano in Brasile. Mentre qui è la giornata della commemorazione dei defunti, di chi si è sciolto da ogni obbligo terreno. Ogni anno, prima del due novembre, mi preparavo psicologicamente ad essere triste. Ricordo persino che, da piccola, una mia amica mi intimò di non accendere la radio nella giornata dedicata ai morti: la musica avrebbe potuto offenderne il riposo. Ora ci rido su, ma l'ambiente intorno a noi, quando ancora non siamo abbastanza solidi, esercita una pressione incredibile sulle nostre vite. "Devo essere triste perché mia madre è triste", mi ripetevo da piccola: uno stato d'animo che diventava un obbligo di solidarietà, impastato di amore e ricatti involontari. Così, andare al cimitero era una tortura: diventavo tachicardica al solo pensiero della sofferenza che avrei letto negli occhi dei superstiti, e passavo il tempo a sorvegliare che nessuno della mia famiglia avesse il volto rigato dalle lacrime.