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Visualizzazione dei post da aprile, 2012

Il divieto di pensare in proprio

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Siamo condannati a restare per l’eternità figli della Controriforma? Domanda inquietante. E se lo chiede, più o meno con queste parole, Ermanno Rea, nel suo “La fabbrica dell’obbedienza” (Feltrinelli editori). Il che non significa semplicemente che ci affidiamo ancora alla parola dei papi e delle gerarchie ecclesiastiche, ma che abbiamo una specie di propensione naturale – data dal fatto che “noi siamo le nostre esperienze” – a seguire ciecamente una fede, intesa come visione “autoritativa” delle cose del mondo.

Noi su chi vegliamo?

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Saprete tutti cosa significhi essere invasi, completamente invasi, da una tristezza senza rimedio: sì, credo di sì. Stasera è una di quelle sere: in cui non riesco ad abbandonarmi al sonno per paura di perdere il controllo, in cui non riesco a trovare le parole per nominare la perdita di speranza e la delusione che certe volte provo quando qualcuno mi ricorda che non si può tornare indietro, in cui capisco per un attimo (ma poi lo dimentico) che le soluzioni si trovano solo se si cercano bene e senza auto-indulgenza, e che la difficoltà di vivere blocca fino al punto in cui non si decide di giocare la carta della rivoluzione. Ancora: che perdere si può nella vita, senza che, però, questo significhi morire, non del tutto (solo un poco), e che invece ci sono cose da fare, e che non faremmo fosse per noi, perché chi ci ama non muoia.