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Visualizzazione dei post da aprile, 2011

Il segreto delle "Casalinghe disperate"

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Ci pensavo oggi. Non mi era mai successo: con nessun programma, talk-show, serie televisiva o reality. Mi viene in mente già dal mattino, appena sveglia. Poi durante il giorno, quando mi capita di fare una cosa particolarmente pallosa: basta che mi dica, "stasera ci sono loro , e sorrido. Come tanti anni fa, a scuola, quando il pensiero correva alla puntata del pomeriggio di Mimì Ayuara: ed ero subito in attesa emozionata. Un chiaro caso di regressione, che irrompe, tra l'altro, alla fine di ogni puntata: l'idea di attendere un'altra settimana prima di rientrare nuovamente in Wisteria Lane, mi risulta tanto insopportabile da reggere, che me ne sto in silenzio sul divano. Solo alcuni minuti: il tempo necessario a rientrare nei ranghi, e credere di poter fare a meno di quella fantastica finzione.

Ma la Costituzione è eterosessuale?

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Non c’è dubbio, per il sottosegretario Carlo Giovanardi. La nostra Costituzione è eterosessuale. Indignato per l’offesa arrecata alla Carta fondamentale da una pacifica pubblicità di Ikea, rea di essere troppo europea e gay friendly, Giovanardi cita – risentito – l’articolo 29 della Carta fondamentale: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.Il fu democristiano, oggi di stretta osservanza berlusconiana, è recidivo: tutte le volte che fa outing sulle questioni che gli stanno più a cuore – memorabile, per l’umana pietas, quello su Stefano Cucchi, accusato di essere “morto perché anoressico, drogato e sieropositivo” – utilizza come corpo contundente la propria delega alle politiche per la famiglia, al contrasto delle tossicodipendenze e al servizio civile. E l’adesione al cattolicesimo come “bomba intelligente” da lanciare contro gli infedeli.

"Todo cambia" nel film di Moretti

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Avevo paura di andare a vedere "Habemus Papam": nutrivo un'aspettativa altissima e ho commesso l'errore di leggere recensioni, commenti e sconclusionati appelli al boicottaggio che mi hanno inutilmente appesantita. In realtà, il film è lieve e sorridente, e ti fa entrare dentro di sé senza forzature e con ritmo. Sono grata a Moretti, intanto, per " Todo cambia " cantata da Mercedes Sosa (che riascolto mentre scrivo queste righe) e colonna sonora di uno dei più bei momenti del film: il testo del musicista cileno Julio Numhauser cattura perfettamente quel particolare movimento che fa la vita quando si sente messa all'angolo. Incastrata.

L’Italia non è la Kirghisia, nonostante Tremonti

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“Il lavoro mi perseguita, ma io sono più veloce”, ripete Lupo Alberto, il protagonista scansafatiche della striscia creata da Silver. Eppure il ministro Tremonti non l’ha citato quando da Washington – a margine dei lavori del Fondo monetario internazionale – ha rispolverato con la consueta e appuntita enfasi delle grandi occasioni, un classico come la disoccupazione giovanile. Era successo già due anni fa, quando ci toccò assistere, increduli, all’elogio del posto fisso. Questa volta, se possibile, l’inquilino di via XX settembre ha osato di più, avvalendosi di un nuovo strumento retorico, quello dell’“immigrato prêt à porter”: dove è possibile, meglio respingere il clandestino, altrimenti si può sempre utilizzarlo a guisa di comoda statistica per giustificare politiche fallimentari e obiettivi mancati.

"Restiamo umani" da Vik

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Leggo da stamattina il blog di Vittorio Arrigoni, ucciso in questa guerra assurda e vecchia, in cui il mondo intero pretende di separare chi ha torto da chi ha ragione, come si fa con il grano dal loglio. E, forse, c'è solo qualcuno che ha più torto di un altro. Forse: lo dico sottovoce, certa di non comprendere, di non vedere, di non sapere tutto. Sostengo, però, l'idea autenticamente umana e profondamente "carnale" del prendere parte, aderire a una causa,  interpretarne le istanze e condividerne gli obiettivi. E' anche, nel senso più originario del termine, una scelta "politica".

"Come stai?" "Male, grazie"

Penso che abbiamo un problema con il mondo: un problema di "contatto". Non so se questo problema sia  prima "privato" e poi "pubblico" o viceversa. Ma succede esattamente come quando telefoni e non prendi la linea: tutte le domande restano dentro di te e, soprattutto, non saprai mai quali risposte ti avrebbe dato chi stavi cercando. E' deprimente. Non so voi ma io sento fortissimo questo malessere. Credo sia indotto dal clima intorno a me, da questa mancanza di ossigeno, e di spazio, e di domande non poste. Non mi aspetto che sia Tremonti a chiedermi di cosa abbia bisogno, ma almeno i miei pari sì. "Come stai?", "Male grazie": nessuno me lo chiede più. Soprattutto, facendomi anche il regalo di fermarsi ad ascoltare la mia risposta.

Debiti e abbracci

Ci siamo incontrate per strada, come accade quasi ogni giorno da un paio d'anni: io e il mio cane, lei e il suo. Sempre un sorriso, due chiacchiere sulla "community" di amici a quattro zampe, e via. Oggi aveva l'aria imbarazzata. E l'espressione di chi vorrebbe dire ma non riesce a trovare le parole. Le chiedo se vuole bere un caffè insieme e mi risponde che "sì, ne ha proprio bisogno". Ci sediamo sotto il gazebo del baretto di periferia: i cani stesi al riparo del tavolino, a dividersi lo stesso cono d'ombra; noi impegnate a prender tempo, separate da quel corposo imbarazzo tipico del "momento prima". Le sue lacrime sciolgono il nostro torpore e gli danno calore, gli imprimono una direzione. Alla fine, lasciano anche spazio alle parole.

Riti

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Ognuno ha in tasca i propri riti di ringraziamento: generalmente sono segreti e restano ben nascosti agli occhi del mondo. Che comunque non saprebbe come leggerli: servono a segnare il passo e andare avanti, quando prima tutto tirava indietro, a trovare finalmente un briciolo di forza, quando ancora mancano le energie. A relativizzarsi anche. Sono parole (poche) e gesti (appena accennati), che rivolgiamo solo a noi stessi: riescono a fermare proprio quel momento lì, a ringraziare qualcuno che era assente da troppo tempo, a promettere solennemente a se stessi che "la prossima volta ci crederò di più e non di meno", a giurarsi che "non mi siederò più sulle cose tanto a lungo", e che "non ripeterò come un mantra, il lamento dell''ho sbagliato tutto' o - in alternativa -  del 'cosa ho fatto per meritarmi tutta questa sfiga?'".

Escort

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Anni fa lavoravo in un posto dove avvenivano interessanti giochi di prestigio. Una collega, chiamiamola 'freelance', scompariva per giorni. Anche un'intera settimana: cellulare irraggiungibile, persone che la cercavano in ufficio invano, nessuna spiegazione. Né prima né dopo. Riappariva con grande disinvoltura, come fosse uscita dalla porta per una decina di minuti, giusto il tempo di caffè e sigaretta: quasi sempre abbronzata, perfetta, magrissima e attillata.

KmZero Road: la strada come fonte di energia

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Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare . Quale strada italiana di oggi avrebbe ispirato le pagine del leggendario romanzo “On the road” a Jack Kerouac? E il suo desiderio di andare senza meta sarebbe stato tanto potente sulla nostra Salerno-Reggio Calabria? Probabilmente no. Anche se prendessimo in considerazione “le strade più nuove e attualmente in costruzione”, spiega Giulio Ceppi - architetto e designer nonché docente al Politecnico di Milano – “scopriremmo che queste sono realizzate male perché il business consiste proprio nel rifarle continuamente”. Non solo. Da noi, un’esperienza on the road sarebbe assai dispendiosa: “Un esempio è la famosa Pedemontana”, prosegue Ceppi, “che, come tutte bretelle stradali in cantiere, saranno percorribili dai cittadini solo a pagamento. Con la conseguenza che il traffico sarà sì più fluido, ma questo vantaggio si tradurrà in un costo per l’intera comunità”.

Sedotta

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Lo ammetto: sono entrata nel Mc Donalds di periferia, già in preda a sensi di colpa e seghe salutiste il cui assalto ho bellamente ignorato. Chiaro che c'era un prezzo da pagare: mi sarei mantenuta leggera, evitando la coca-cola e optando per un Chicken wrap e patatine medie. Un compromesso a perdere. Seduta stretta tra una coppia di ragazzini delle medie che si baciava con un impeto eccezionale e una famigliola un po' triste, non l'ho notata subito.

Di ulivi e famiglie

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La mia famiglia vive all'ombra degli ulivi. Quando, anni fa, andai via da lei, sapevo che sarebbe stato per sempre, anche se ad alta voce ripetevo "per ora". Il tempo mi aspetta a casa e solo qui: ogni volta che torno, come in questi giorni, ripristino il contatto con il tempo che passa. Solo qui lo "misuro": perché rallenta fino a fermarsi. E si fa cogliere. Ne vedo i segni: lo leggo sul viso di mia madre, nella lentezza di gesti che un tempo erano lesti, lo rintraccio negli sguardi bassi dei miei nipoti, per l'emozione e per quella speciale timidezza dei bambini. Che li assale quando gli adulti si assentano a lungo e vorrebbero, al ritorno, ristabilire un contatto, abbracciare i loro corpi come se nulla fosse.